Un sentiero, un incontro e un ponte tra passato e futuro
01 foto di Carlo Virando – Uja di Mezzenile anni 1920 – Archivio Virando

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Le scuole erano terminate ed era giunto il tempo di riallacciare altri rapporti interpersonali sospesi dall’inverno e dagli impegni. Si preannunciava una bella giornata soleggiata, il monte Civrari, allora usato come meteo, era sgombro da qualsiasi nuvola. Mi allaccio i consueti scarponi in cuoio induriti dal mancato uso recente e, salutando la zia al pascolo mi incammino solitario lungo il sentiero che, superato il ponte ad arco in pietra, svoltando a sinistra e superando una pietraia si collega alla mulattiera principale e in un paio d’ore di cammino mi conduce ad un’altra frazione. L’ambiente era molto diverso da quello attuale, la montagna era viva ed abitata, tutto era curato e ordinato e l’escursione era piacevole. Era forse un giugno del 1974 o 1975 quando, proveniente dal “Mulino” dei Tornetti, raggiunsi la Frazione Balma per andare a salutare dei parenti. Non li trovai in quanto impegnati nella fienagione e al pascolo delle capre, ma ebbi la fortuna di incontrare, presso il terrazzo della sua casa, sul noto Ruciass, l’allora novantenne Carlo Virando conoscente da sempre della mia famiglia. La piacevole giornata si arricchì di un’altrettanta piacevole lunga conversazione con quello che sapevo essere un buon alpinista e mi raccontò delle sue fatiche, ma anche della grande gioia di raggiungere quello che aveva sempre sognato grazie all’alpinismo. Mi spronò a frequentare la montagna nei suoi vari aspetti, non solo vette e ghiacciai, ma anche escursioni ed incontri con uomini e di “leggere” la montagna attraverso il lavoro della civiltà contadina che ormai stava piano piano scomparendo. Si potrebbe definire un “alpinismo” di ricerca dove le vette erano sicuramente importanti ma andavano inserite nel contesto più generale di “Montagna”. Mi raccontò di alcune sue esperienze in alta montagna, degli orizzonti su altri massicci alpini e sulla pratica dello sci del quale Virando era sicuramente un maestro e della sua appartenenza al Club Alpino Accademico. Allora mi risultò difficile cogliere queste cose, ero troppo giovane per capirne i suoi aspetti e neppure ero a conoscenza del suo curriculum alpinistico (da persona schiva e modesta non si è mai vantato delle sue imprese), ma non dimenticai mai le sue parole e i suoi consigli che mi risultarono utili in seguito nel frequentare la montagna nei suoi vari aspetti. Ormai era quasi giunta l’ora di pranzo, ci salutammo ed io ripresi un altro sentiero per arrivare presso il valico dell’alpe Cima, dove per un secolo ha troneggiato un enorme faggio e dove mi fermai da parenti a pranzare. Lo rividi di sfuggita per un saluto altre volte, morirà nel 1980, ma voglio ricordarlo in quell’assolato mese di giugno sull’uscio di casa, immancabilmente vestito con i pantaloni di velluto, la camicia bianca, il gilet con l’orologio da taschino che mi saluta mentre mi incammino lungo il sentiero. Su quel tratto di prato in pendenza tra le baite Cima e la Balma alcuni anni più tardi con un pronipote di Virando imparai i primi rudimenti dello sci d’erba con gli attrezzi “cingolati”.

02 foto di Carlo Virando – Salendo la Dent d’Héren 1923 – Archivio Virando

Sono passati molti anni, molti sentieri e molte montagne ma quell’incontro non mi ha mai “abbandonato”, ricordo che quando ero sulla via Cassin alle Corna di Medale era stato proprio lui a parlarmi per la prima volta della zona della Grigna e delle notevoli possibilità di scalata che a lui rimasero in parte precluse a causa della distanza, così come le maggiori vette delle Alpi che nei suoi diari si riveleranno in tutta la loro bellezza e difficoltà.  Siccome la vita è comunque piena di sorprese e di coincidenze mi trovo a scrivere di Lui, della sua esperienza di alpinista di punta e della sua appartenenza al neonato Club Alpino Accademico Italiano nel novecento del secolo scorso.

Un giorno mi capitò tra le mani il libro “Storia dell’Alpinismo” scritto da Claire-Eliane Engel e nell’appendice di Massimo Mila “Cento anni di alpinismo italiano”, lessi di una cordata che tra dal 13 al 15 agosto 1923 salì alla Dent d’Hérens dal Col Tournanche, prima ascensione italiana, composta da Chabod, Ravelli, Rivetti e Virando. Incuriosito di ciò presi contatto con i suoi eredi, ed ebbi la conferma che si trattava proprio di Carlo Virando. Ho avuto quindi modo di visionare il suo archivio composto da precisi diari, stampe fotografiche in bianco e nero e diapositive. Una nuova montagna, nuovi sentieri e nuovi passi si erano per me aperti nel toccare con mano, nel salotto di casa, una parte consistente della storia dell’alpinismo, i sentieri erano diventati i marciapiedi cittadini per raggiungere l’abitazione torinese degli eredi.

L’importanza delle Guide Alpine che accompagnando facoltosi clienti hanno realizzato importanti ascensioni sono ormai state ampliamente studiate e documentate, meno noto è che alcuni valligiani, emigrati per ragioni di famiglio o di lavoro, mantennero l’interesse per l’alpinismo nato sulle montagne di casa e sviluppandolo non in forma professionale ma a livello di semplice passione o di sport, coinvolsero appassionati “cittadini” anche grazie alle conoscenze fatte nelle sedi del Club Alpino Italiano. Carlo Virando, si è inserito appieno a questo filone ed ha rappresentato una figura di primo piano nel mondo alpinistico delle Alpi Occidentali di inizio ‘900 del secolo scorso, grazie alla sua lunga e proficua carriera. Ha frequentato i più importanti massicci delle Alpi in Italia, Francia e Svizzera, compiendo centinaia di ascensioni, alcune delle quali in prima assoluta, basti ricordare la prima ascensione del Canalone della Gura in Val Grande di Lanzo e la “Cresta Accademica” sulla Cristalliera, itinerari ancora oggi molto percorsi e noti. Nel 1910 è ammesso al Club Alpino Accademico in cui ricoprirà numerosi incarichi e che lo vedrà al Monte dei Cappuccini di Torino nel 1976 per la votazione se ammettere o meno le donne (saranno ammesse) nel sodalizio.

La sua era una montagna a 360 gradi, dove l’alpinismo, sci alpinismo (era stato istruttore delle prime truppe alpine sciistiche nella Prima Guerra Mondiale), escursionismo erano il terreno di gioco prediletto era il “suo sport preferito” ed in questa chiave esplorativa e contemplativa si inserisce l’interesse per la fotografia, che ci ha lasciato, oltre al ricordo, una documentazione importante sui cambiamenti dei luoghi dopo oltre un secolo.

Gli alpinisti dell’800 avevano ormai raggiunto la sommità di tutte le cime più importanti delle Alpi attraverso le cosiddette “vie normali”, ma vi era ancora tutto un “mondo” da scoprire: creste e pareti erano ancora tutte da salire e questa nuova generazione alpinistica li vuole raggiungere attraverso un alpinismo “senza guide o portatori”, solo attraverso le loro capacità ed intuizione nel trovare il percorso giusto ed alzando di

conseguenza il grado delle difficoltà nell’arrampicata, realizzando le salite nei ritagli di tempo dal lavoro e con ridotti mezzi economici. Pesanti corde di canapa, scarponi prima chiodati e poi a dieci punte pesantissimi, sicurezze aleatorie più psicologiche che reali, giornali da usare sotto la giacca come riparo dal vento. Mi piace immaginare cosa avrebbero potuto fare questi alpinisti se avessero avuto maggiori disponibilità economiche nel campo dell’alpinismo extraeuropeo. Anche gli avvicinamenti alle pareti erano avventurose, in bicicletta per quelle vette che rientravano nei 60 chilometri dall’abitazione, in treno, aggregandosi alle prime gite Cai e a piedi per quelle più lontane. Il tutto rigorosamente iniziavano il sabato pomeriggio, termine del lavoro, e dovevano concludersi con il rientro tassativamente il lunedì all’alba.

Questa storia in “bianco e nero” avrebbe potuto chiudersi qui, ora tutti questi sentieri e questi prati non esistono più. Gli alpeggi sono in buona parte in rovina e rovi e piante hanno preso il posto ai prati in questo panorama alpino. Sembra un paradosso ma le strade che sono state costruite sono servite per andare altrove e non per tornare, se non nel sempre più breve periodo vacanziero. Sono trascorsi cinquant’anni ma pare un secolo. Ora quella montagna vissuta al limite dei 1.000 1.300 metri è muta e vuota, e solo i ricordi possono riportarla in quella dimensione.

03 foto aerea di Dario Regina – Preparazione delle vie di arrampicata

Ma invece questa storia piano piano si sta trasformando a “colori”. Infatti ad un Accademico torinese è piaciuto questo racconto e grazie al “Gruppo Valli di Lanzo in Verticale” hanno eseguito alcuni mesi fa un sopraluogo lungo il sentiero che dalla frazione Balma porta a Pessinea, dove si trovano diversi torrioni rocciosi tra loro ravvicinati, il più alto è di 22 metri e a circa 10 minuti di marcia. Inizialmente è stato stimato che per iniziare potrebbero essere tracciate circa 4 linee di arrampicata sportiva con difficoltà ipotizzate dal grado 5c al grado 6c/7a, secondo la scala di difficoltà “francese”. Questa serie di torrioni rappresentano tuttavia ottime possibilità di ampliamento, consentendo la creazione di un bel sito di arrampicata, ottimo da frequentare in particolare in inverno e nelle mezze stagioni, grazie all’esposizione favorevole. La presenza di alberi, che coprono in parte il luogo, possono tuttavia mitigare la calura estiva, inoltre una delle facce strapiombanti ne permetterebbe la frequentazione anche in caso di pioggia. In queste settimane il Gruppo ha iniziato i lavori proprio sul torrione principale e in un’intensa giornata dedicata alla spazzola, al seghetto, al palanchino e al trapano sono stati chiodati 2 bei tiri. Insomma il progetto è arrivato alla sua parte operativa e proseguirà nella messa in sicurezza del sito di arrampicata arricchendosi di altri tiri. Il torrione principale sarà dedicato a Carlo Virando, creando così un ponte ideale tra passato e presente per far conoscere alle generazioni attuali e proiettare nel futuro la figura di questo alpinista che, partito dalla sua frazione ha spaziato sulle più alte vette delle Alpi. I lavori, compreso un ricordo a questo alpinista tramite cartellonistica, dovrebbero essere ultimati e le pareti diventare usufruibili dall’estate 2021. A metà di un torrione laterale vi è una stretta cengia comoda per un’eventuale discesa ed è proprio qui che noi ragazzini abbiamo imparato ad appoggiare le mani sulla roccia con grande disappunto dei genitori.

marino periotto

(i nomi delle Frazioni citate si riferiscono a quelle del Comune di Viù (TO) nelle Valli di Lanzo)

Foto:

01 Uja di Mezzenile anni 1920 – Archivio Virando

02 Salendo la Dent d’Héren 1923 – Archivio Virando

03  foto aerea di Dario Regina – Preparazione delle vie di arrampicata

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